sabato 9 novembre 2019

Lovecraft. Alle origini del fantastico e del meraviglioso come condizione dell'esistere umano.


A suscitare il nostro desiderio di tornare su Lovecraft con alcune riflessioni, che come vedremo, andranno al di là della sua stessa opera, hanno agito due elementi. Da una parte, la pubblicazione per la Newton Compton di Tutti i romanzi e i racconti, edizione che comprende una scelta importante della sua sterminata produzione saggistica, che,  noi pensiamo, possa essere utile per retro illuminare e comprendere le motivazioni più profonde della sua narrativa, troppo spesso semplicisticamente interpretata, come una rivolta ideale, contro le costrizioni “ imposte” dalla ragione; dall’altra la visione di It, del 1990, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen king.

Entrambi questi autori, pur se in epoche completamente diverse, e con esiti molto diversificati, anche in sede estetica, hanno esplorato il mondo del fantastico, costruendone una vera e propria Geografia, e questa, ciò vale soprattutto per Lovecraft, solo apparentemente e in superficie è priva di trama e di senso logico, ma invece, come ha osservato  Pietro Citati, dietro ogni testo abita un testo nascosto: dentro i libri che noi vediamo, ce ne sono altri, segreti, che non vediamo,  e di cui lo stesso Lovecraft,   è inconsapevole e nemmeno sa di avere scritto.  E’ come se, proseguendo questa bellissima immagine, ci si trovasse in un labirinto fatto ad incastro, e di fronte ad una porta se ne aprisse un’ altra, così, di seguito,  senza interruzione,   come in un unico sogno, all’infinito.  Quindi, è come se,  ci si trovasse di fronte a innumerevoli e fuggevoli  apparizioni dello stesso “ discorso”, al quale l’Autore, sembra non mettere  mai la parola “fine”, e che però affiora, attraverso il ritorno di alcuni simboli, o rapporti interni, o segrete corrispondenze, nelle quali,  è possibile, così , “  leggere” una trama.

Quale può essere allora, ci domandiamo, la radice dell’inspiegabile fascino,ancora oggi esercitato   dopo decenni dalla sua morte, dal solitario di Providence?

Forse una risposta,  anche se incompleta e parziale, si può trovare, in un suo saggio, Tempo e spazio, in cui l’Autore si domanda “ (…) dobbiamo ricordare che lo spazio non ha confini,(…) abissi illimitati si estendono oltre la nostra vista e la nostra comprensione (…). Quale mente osa tentare di immaginare quei regni lontani dove forma(…), materia ed energia, possono essere soggetti a mutamenti impressionanti (…) e, vorremmo aggiungere, al di là del nostro controllo,  o di quello che la nostra sola “ragione” può immaginare?  Proprio qui, in queste poche righe, si può trovare, almeno una, delle  tante ragioni possibili, per comprendere il fascino di Lovercraft.

 Lovecraft, non solo non ha avuto paura di indagare le più inconfessabili e  segrete paure, i fantasmi più profondi e originari dell’uomo, ma ha avuto il grande talento di dar loro forma e corpo, un “volto”, per poterli, così, finalmente accettare e riconoscere, come condizione essenziale del nostro cammino, ricordandoci, infine, la vastità e le  enormi possibilità dell’esistere, alle quali, noi tutti, in quanto membri di una specie, siamo sempre affacciati e siamo destinati a vivere.  

             






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