A suscitare il nostro desiderio di tornare su Lovecraft con
alcune riflessioni, che come vedremo, andranno al di là della sua stessa opera,
hanno agito due elementi. Da una parte, la pubblicazione per la Newton Compton
di Tutti i romanzi e i racconti, edizione che comprende una scelta importante
della sua sterminata produzione saggistica, che, noi pensiamo, possa essere
utile per retro illuminare e comprendere le motivazioni più profonde della sua
narrativa, troppo spesso semplicisticamente interpretata, come una rivolta
ideale, contro le costrizioni “ imposte” dalla ragione; dall’altra la visione
di It, del 1990, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen king.
Entrambi questi autori, pur se in epoche completamente
diverse, e con esiti molto diversificati, anche in sede estetica, hanno
esplorato il mondo del fantastico, costruendone una vera e propria Geografia, e
questa, ciò vale soprattutto per Lovecraft, solo apparentemente e in superficie è priva di trama e di senso logico, ma invece, come ha osservato Pietro Citati, dietro ogni testo abita un testo nascosto: dentro i libri che
noi vediamo, ce ne sono altri, segreti, che non vediamo, e di cui lo stesso Lovecraft, è inconsapevole
e nemmeno sa di avere scritto. E’ come se, proseguendo questa bellissima
immagine, ci si trovasse in un labirinto fatto ad incastro, e di fronte ad una
porta se ne aprisse un’ altra, così, di seguito, senza interruzione, come in
un unico sogno, all’infinito. Quindi, è come se, ci si trovasse di fronte a innumerevoli e
fuggevoli apparizioni dello stesso “
discorso”, al quale l’Autore, sembra non mettere mai la parola “fine”, e che però affiora,
attraverso il ritorno di alcuni simboli, o rapporti interni, o segrete
corrispondenze, nelle quali, è possibile, così , “ leggere” una trama.
Quale può essere allora, ci domandiamo, la radice
dell’inspiegabile fascino,ancora oggi esercitato dopo decenni dalla sua morte, dal
solitario di Providence?
Forse una risposta,
anche se incompleta e parziale, si può trovare, in un suo saggio, Tempo e spazio, in cui l’Autore si
domanda “ (…) dobbiamo ricordare che lo
spazio non ha confini,(…) abissi illimitati si estendono oltre la nostra vista
e la nostra comprensione (…). Quale mente osa tentare di immaginare quei regni
lontani dove forma(…), materia ed energia, possono essere soggetti a mutamenti
impressionanti (…) e, vorremmo aggiungere, al di là del nostro
controllo, o di quello che la nostra
sola “ragione” può immaginare? Proprio
qui, in queste poche righe, si può trovare, almeno una, delle tante ragioni possibili, per comprendere il fascino di Lovercraft.
Lovecraft, non solo
non ha avuto paura di indagare le più inconfessabili e segrete paure, i fantasmi più profondi e
originari dell’uomo, ma ha avuto il grande talento di dar loro forma e corpo,
un “volto”, per poterli, così, finalmente accettare e riconoscere, come
condizione essenziale del nostro cammino, ricordandoci, infine, la vastità e le
enormi possibilità dell’esistere, alle
quali, noi tutti, in quanto membri di una specie, siamo sempre affacciati e siamo destinati a vivere.
Nessun commento:
Posta un commento