Il desiderio di tornare su i Fratelli Karamazov , con
alcune riflessioni, ci è venuto rileggendo il libro di L. Pareyson, Dostoevskij, che al suo apparire nel
1992, fu salutato per profondità di pensiero e ampiezza di prospettive, come
l’apice, fino ad allora mai raggiunto, almeno in Italia, sullo scrittore russo.
Ad una lettura più attenta però, risulta evidente che Pareyson, torce l’Autore
in un’ ottica esclusivamente occidentale e questo limita molto la comprensione
del contesto storico – culturale in cui cresce e si sviluppa il pensiero di
Dostoevskij che è poi ovviamente quello della cultura russo – ortodossa.
In riferimento a questo, ci sembra essenziale sottolineare
come nell’analisi pareysoniana, il problema del male venga considerato, come un
problema eminentemente filosofico, cioè astratto, mentre invece nell’analisi
dostoevskijana, tale problema viene considerato nella sua reale effettività,
nella sua concretezza, a tal punto da trarre in iscacco la ragione filosofica.
In tal senso, ci sembra utile soffermare l’attenzione su alcuni aspetti del suo pensiero, così come li esprime soprattutto ne I fratelli Karamazov, che rispetto alle opere precedenti sembrano assumere quasi la valenza di un sistema filosofico e questo è vero a tal punto che la figura centrale di questo romanzo è appunto Ivan, raffinato e cinico intellettuale, ateo, per il quale l’amore per il prossimo, in un mondo completamente disarmonico non ha più senso e diventa, infatti, a sua insaputa l’autore intellettuale dell’assasinio di suo padre. Il fratellastro Smerdjakof è, infatti, plagiato dalle teorie atee di Ivan che diventa così l’ideal – tipo del nichilista intellettuale, una sorta di commistione tra Kirillov e Stavogrin, che con le sue speculazioni su Dio e la sua assenza nel mondo, induce, se così si può dire, Smerdjakof al parricidio.
E’, infatti, proprio ne I
Fratelli Karamazov,che tale differenza risulta evidente, soprattutto nelle
parole di Ivan, per il quale il genere umano vive in un mondo senza speranza e senza
possibilità alcuna di redenzione, come se fosse immerso in una tenebra
permanente, senza fine.
Di fronte a questi personaggi viene contrapposto il destino
di Aljoscia, il fratello minore messagero “ guidato”dal suo consigliere
spirituale rappresentato dallo starec Zosima. Aljoscia Karamazov è novizio nel convento di padre Zosima e
incarna la speranza del superamento del nichilismo. E’ per questa ragione che
in Dostoevskij è “il monaco russo” che sembra assumere i tratti di colui il
quale può opporsi all’avanzata del nichilismo. In questo senso, per contrastare
il crescente ateismo e la vita mondana, Dostoevskij contrappone la figura
ideale dello starec Zosima con la sua vita monacale. Aljoscia è guidato da
questo insegnamento e Ivan dovrebbe prendere l’esempio da lui, per questo è
necessario il ritorno di Aljoscia nel mondo cosicché gli insegnamenti religiosi
possano diventare attivi, guidando ed educando la società, in particolare la
società russa, che troppo si è confusa con la penetrazione del soggettivismo
europeo, sfociata nel nichilismo.
A questo Dostoevskij contrappone l’obscina, un potenziale etico educativo
concentrato sui valori della collettività, dell’altruismo e della condivisione,
dal quale possa scaturire finalmente un’ etica a favore della comprensione
dell’altro, di contro ad un soggettivismo, invece, completamente solipsistico e
autoreferenziale.