venerdì 10 maggio 2019

Dostoevskij e l'ideale dell'obscina


Il desiderio di tornare su i Fratelli  Karamazov , con alcune riflessioni, ci è venuto rileggendo il libro di L. Pareyson, Dostoevskij, che al suo apparire nel 1992, fu salutato per profondità di pensiero e ampiezza di prospettive, come l’apice, fino ad allora mai raggiunto, almeno in Italia, sullo scrittore russo. Ad una lettura più attenta però, risulta evidente che Pareyson, torce l’Autore in un’ ottica esclusivamente occidentale e questo limita molto la comprensione del contesto storico – culturale in cui cresce e si sviluppa il pensiero di Dostoevskij che è poi ovviamente quello della cultura russo – ortodossa.
In riferimento a questo, ci sembra essenziale sottolineare come nell’analisi pareysoniana, il problema del male venga considerato, come un problema eminentemente filosofico, cioè astratto, mentre invece nell’analisi dostoevskijana, tale problema viene considerato nella sua reale effettività, nella sua concretezza, a tal punto da trarre in iscacco la ragione filosofica.
  

 In tal senso, ci sembra utile soffermare  l’attenzione su alcuni aspetti del suo pensiero, così come li esprime soprattutto ne I fratelli Karamazov, che rispetto alle opere precedenti sembrano assumere quasi la valenza di un sistema filosofico e questo è vero a tal punto che la figura centrale di questo romanzo è appunto Ivan, raffinato e cinico intellettuale, ateo, per il quale l’amore per il prossimo, in un mondo completamente disarmonico non ha più senso e diventa, infatti, a sua insaputa   l’autore intellettuale dell’assasinio di suo padre. Il fratellastro Smerdjakof è, infatti, plagiato dalle teorie atee di Ivan che diventa così l’ideal – tipo del nichilista intellettuale, una sorta di commistione tra Kirillov e Stavogrin, che con le sue speculazioni su Dio e la sua assenza nel mondo, induce, se così si può dire, Smerdjakof al parricidio.
E’, infatti, proprio ne I Fratelli Karamazov,che tale differenza risulta evidente, soprattutto nelle parole di Ivan, per il quale il genere umano vive in un mondo senza speranza e senza possibilità alcuna di redenzione, come se fosse immerso in una tenebra permanente, senza fine.
Di fronte a questi personaggi viene contrapposto il destino di Aljoscia, il fratello minore messagero “ guidato”dal suo consigliere spirituale rappresentato dallo starec Zosima. Aljoscia Karamazov è  novizio nel convento di padre Zosima e incarna la speranza del superamento del nichilismo. E’ per questa ragione che in Dostoevskij è “il monaco russo” che sembra assumere i tratti di colui il quale può opporsi all’avanzata del nichilismo. In questo senso, per contrastare il crescente ateismo e la vita mondana, Dostoevskij contrappone la figura ideale dello starec Zosima con la sua vita monacale. Aljoscia è guidato da questo insegnamento e Ivan dovrebbe prendere l’esempio da lui, per questo è necessario il ritorno di Aljoscia nel mondo cosicché gli insegnamenti religiosi possano diventare attivi, guidando ed educando la società, in particolare la società russa, che troppo si è confusa con la penetrazione del soggettivismo europeo, sfociata nel nichilismo.

A questo Dostoevskij contrappone  l’obscina, un potenziale etico educativo concentrato sui valori della collettività, dell’altruismo e della condivisione, dal quale possa scaturire finalmente un’ etica a favore della comprensione dell’altro, di contro ad un soggettivismo, invece, completamente solipsistico e autoreferenziale.