Il bellissimo libro di Matteo Nucci, Le lacrime degli eroi, sui Poemi omerici, si segnala, sin dal titolo,
che è diremo quasi una dichiarazione di intenti, come una novità assolutamente originale, perché indica nel pianto
la via principe e anche una dimensione
dell’essere, per esplorare fin nei più minuti e riposti
particolari, il complesso, cangiante e multiforme mondo degli Eroi; dalle
passioni così forti e violente da essere considerati, anche perché danno voce
ad un immaginario collettivo, esseri sovraumani e per questo invincibili e impenetrabili alle debolezze umane.
Tra gli Eroi, spicca senz’altro Odìsseo, che nel Poema a lui
dedicato, non
è solo, come ci racconta Dante, un uomo dominato da un’ insaziabile
curiosità di sapere e, infatti, a testimonianza di ciò, tra gli epiteti a lui
attribuiti, che sono specificatamente suoi e di nessun altro, il secondo è polytlas,
in cui spicca il verbo tlemai che
ha il significato, nient’affatto casuale di “ resistere”, “sopportare” e che
dunque non può non richiamare le molteplici sofferenze e gli infiniti patimenti
che Odìsseo è costretto a subire prima di tornare a pieno titolo a casa, eventi
tutti, che lo arrichiscono e lo trasformano profondamente, anche da un punto di
vista etico: come uomo.
Tant’ è vero, che i libri in cui fa la parte dell’aedo, sono quelli delle
avventure che tutti conoscono, da Polifemo alle Sirene, ma sono soprattutto
quelli nei quali il poeta fa mostrare al suo eroe, concetti che diventeranno
cardine nella Grecia classica e che nulla hanno a che fare con l’astuzia o con
l’avidità di conoscere, ma piuttosto con la sofferenza
che porta alla conoscenza, come si legge nei due bellissimi versi di
Eschilo dell’ Agamennone: pathei mathos, e
che qui sono, infatti, emblematici di un capovolgimento di prospettiva.
Non c’è una crescita dell’eroe, durevole e autentica, solo
attraverso mirabolanti imprese o eroiche gesta, ma, c’è crescita, anche dall’accogliere in sé le sofferenze
dell’ altro, e, infatti, Odìsseo non
piange, per le sofferenze patite durante le sue tribolazioni ma, piange, semmai e più profondamente, per la morte degli amici che incontra nell’ Ade.
Non è l’astuzia, ma sono piuttosto le lacrime, ad indicargli la via del
ritorno.
Già… le lacrime, sono ancora lì. Spettatrici attente e
silenziose … ci scrutano… immobili nel cielo stellato,… custodi sapienti di
antiche gesta, rimangono,.. lì,… sospese, con la loro voce,… come ad indicarci
la via e sembrano dirci o quasi sussurrarci che non si diventa uomini, se non le accettiamo come condizione essenziale,
quasi come sorelle nel nostro lungo e
tortuoso cammino, se non le accettiamo come parte pù profonda di noi stessi, come
strumento per comprendere le enormi possibilità dell’esistere e dell’umano a
cui noi tutti siamo affacciati.