lunedì 9 luglio 2018

Il mistero del momento presente




Il desiderio di tornare su un libro di Brook, La porta aperta, e in particolare su un saggio dal titolo il Pesce d'Oro, è perché ci sembra contenga in nuce il suo pensiero e che di conseguenza sia fondamentale per comprendere l'essenza e il mistero del Teatro .No. Senz’altro, dice chiaramente Brook in queste righe, il Teatro non è una discussione tra persone colte, tra eruditi. In questo senso è limitante studiare il Teatro da una prospettiva storico –  critica, solo cioè come un insieme di testi  e di stili di cui appunto fare la Storia, da cui trarre una ricostruzione oggettiva e per questo appagante. No. Il senso del Teatro non abita lì ma in una dimensione molto più vasta e profonda proprio perché non coinvolge solo l’intelletto. L’energia che si sprigiona in uno spettacolo e che unisce l’attenzione di tutti attraverso il suono e il gesto  e soprattutto attraverso il corpo, perché quello che conta è il corpo scenico.  Cos’é il corpo scenico? Cosa ha a che fare, si domanda Brook, tutto questo con il Teatro? 

E' un mistero. Brook chiama questo mistero “ il momento presente”. Si potrebbe dire un miracolo sbalorditivo. L’interezza dell’universo è contenuta in un momento, una porzione di tempo infinitamente piccola, un atomo appunto e se tutti ci si liberasse, improvvisamente, delle nostre energie più profonde, delle nostre emozioni, dei nostri vissuti più inconfessabili e nascosti, ci sarebbe un’ esplosione nucleare, caotica, difficilmente assorbibile da ciascuno perché simultanea. Però perché il caos acquisisca disciplina deve obbedire a regole molto precise, deve  cioè, essere unificato in un’esperienza comune, e qui a mio avviso sta la grande originalità di Brook.    


Il Teatro, quindi ricorda Brook, non è affatto un' operazione puramente razionale, ma tocca in profondità delle corde emotive, tramite l'intelletto, attraverso i suoni, il colore, la parola e il movimento.
Il primo passo è di somma importanza. Il pubblico deve essere sorpreso, spiazzato e questo avverrà solo se sin dai primissimi suoni, parole o azioni dello spettacolo si libererà in profondità,   " in ogni spettatore", precisa Brook,come una sorta di "mormorio"legato a temi che emergono gradualmente. A questo, bisogna dare l'importanza che merita, anche perché conferma l'idea che non è un processo intelletuale.


Una volta stabilito un contatto, un legame, tra l'interprete e il pubblico, le direzioni che "l'evento" così generato assume, sono molteplici e del tutto inattese. Allora,  da quale dimensione, si domanda Brook, viene il "pesce d'oro"? Forse da ciò che è talmente vasto e originario e che riguarda talmente da vicino la condizione umana, al quale, risulta, così, troppo difficile e riduttivo dare un nome. Si trova, ricorda Brook,"in quel vasto oceano del quale non si sono mai trovate le sponde, le cui profondità non sono mai state sufficientemente esplorate". Così, catturare il pesce d'oro significa costruire un ponte, tra la normale condizione in cui si trova la gente comune del pubblico, e il mondo invisibile, che sta al di là dei sensi, e che si rivela a noi solo quando, ad una percezione inadeguata, si sostituisce "una qualità di consapevolezza infinitamente più acuta".

Infine, conclude Brook, ciò che conta "è la verità del momento presente" che unisce intimamente interprete e pubblico e ci  porta " in quest'unico, irripetibile istante in cui una porta si apre e la nostra visione si trasforma".